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La fotografia arrivò per la prima volta in Giappone, nel 1843 da dei commercianti olandesi, pochi immaginavano che il medium sarebbe stato utilizzato per diffondere in giro per il mondo immagini esotiche del paese. All’epoca il Giappone era ancora ingabbiato nel suo auto-imposto periodo isolazionista (1641-1853), in cui aveva interrotto tutti i contatti con le altre nazioni tranne che con l’Olanda.

“Quando la fotografia è arrivata in Giappone è stata percepita come una tecnologia e una scienza. I samurai (la classe di guerrieri) che cominciarono a studiarla a Nagasaki erano interessati alla chimica e ai meccanismi che permettevano ad essa di funzionare,” spiega David Odo, un esperto della prima fotografia giapponese, i samurai presero dei manuali olandesi e li tradussero meticolosamente in giapponese per assorbire ogni informazione possibile sul funzionamento del processo fotografico.

Nella seconda metà del diciannovesimo secolo, il governo abolì il sistema feudale del periodo Edo (1693-1868), e invenzioni occidentali come le luci a gas, il motore a vapore e la fotografia vennero accolti come simboli di progresso e sofisticazione tecnologica.

Tra il 1860 e il 1870,molti fotografi occidentali,come Felice Beato e Adolfo Farsai, di origini Italiane, arrivarono perchè interessati a ottenere scatti di questa nuova, esotica nazione che si era aperta al resto del mondo. Aprirono studi di fotografici, assunsero apprendisti giapponese e cominciarono a vendere le loro stampe ai turisti che visitavano il paese.

Presso il Museum for Photography, a Berlino, ci sono 200 immagini non ancora pubblicate, recuperate da diverse collezioni tedesche e ottenute da alcuni dei più grandi centri di fotografia commerciale aperti in Giappone nel diciannovesimo secolo. Regalano uno scorcio dei panorami, delle architetture e delle persone di quel periodo. Ma c’è un problema. Tutte sono state scattate presso degli studi fotografici commerciali, e rappresentano un paese immortalato per piacere ad un pubblico straniero che spesso si recava in Giappone per turismo e voleva portarsi a casa un ricordo.

“La maggior parte delle fotografie che uscivano dal Giappone in quel periodo erano souvenir,” spiega Christine Kuhn, curator per la mostra presso il Museum of Photography di Berlino. “Mostrano delle immagini stereotipate, comuni nell’immaginario del Giappone che l’Occidente aveva. Puoi vedere una geisha, un samurai, dei guerrieri kendo del periodo Edo—non ci sono le ferrovie giapponesi e gli esempi di industrializzazione portati avanti nell’era Meiji.”

I turisti più appassionati, spiega Kuhn, spesso si fermavano negli studi fotografici vicini ai loro hotel ancora prima di cominciare i loro giri turistici. Secondo Odo  “Si è sviluppato un mercato parallelo in cui l’elite giapponese voleva vedere fotografata una nazione in evoluzione, mentre il turismo voleva portare a casa le foto di un Giappone antico,” – “In maniera piuttosto interessante, le persone avevano ragione a sospettare della fotografia visto che la maggior parte di quelle conservate nei musei occidentali ritraggono uno stereotipo del Giappone,” spiega Odo. “I giapponesi non avevano alcun controllo su ciò che veniva immortalato nelle fotografie.”

Solo successivamente si inizierà ad avere una fotografia che racconti la realtà del Giappone, realizzata per i giapponesi e non per essere venduta allo straniero.

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